Intervista al Freddo di Romanzo Criminale

Tra TV e cinema. Vinicio Marchioni ha conquistato l’America con il film Third Person – con Liam Neeson, Olivia Wilde, Adrien Brody, Mila Kunis, James Franco e il premio Oscar Paul Haggis. Tre storie d’amore in tre diverse città. L’attore romano è coprotagonista di quella ambientata in Italia. Vinicio confida di non riguardarsi mai in video e di avere un rapporto conflittuale con la sua immagine riflessa. Per questo assiste alla prima dei suoi film quando tutto è definitivo, da spettatore.

«Solo Michele Placido è riuscito a farmi vedere il girato ancora in lavorazione»

Si dedica tanto anche al teatro. Il suo ultimo lavoro è “La Gatta sul tetto che scotta” per la regia di Arturo Cirillo. Quella del teatro è una magia non ripetibile o meglio che si ripete mai uguale a sé stessa, e questo è il suo fascino. Per prendere parte a questo evento incantatore Vinicio ha i suoi rituali scaramantici prima di andare in scena.

Sullo specchio nel suo camerino si leggono due citazioni: “Il gioco è questo: in una stanza buia cercare qualcosa che non c’è e trovarla – se sei capace” e “Un brindisi a papà che non t’ha visto mai”.

«Mi servono per calarmi nel personaggio»

dice con lo sguardo magnetico di chi il successo lo ha costruito con il lavoro.

 

Il Freddo in Romanzo Criminale. Come è invece Vinicio nella vita privata?
Emotivo, istintivo. Ogni tanto mi piacerebbe essere ʻfreddoʼ.

Quindi ti chiameresti L’emotivo?
No (ride). Non lo so come mi chiamerei.

Quale interpretazione è stata determinante nella tua carriera?
Il ruolo del Freddo mi ha dato la popolarità, quello di Aureliano Amadei in 20 sigarette la patente per il cinema.

In Tutta colpa di Freud interpreti un sordomuto. Un limite fisico da superare per comunicare. È stato difficile?
Più che altro è stata una fortuna. La possibilità di interpretare un personaggio che si esprime attraverso lo sguardo è una grande opportunità per un attore. È stato un modo per entrare nel silenzio e uscire attraverso il silenzio.

Al cinema accanto alla Puccini in L’Oriana interpreti Alekos Panagoulis, personaggio idealista e rivoluzionario. Quando viene chiesto a Alekos cosa significhi essere un uomo, risponde: «Significa avere coraggio, avere dignità». E per te?
La stessa identica cosa. Non aggiungerei altro.

Panagoulis non era solo leader della resistenza greca, ma anche il grande amore di Oriana Fallaci. Secondo te c’è davvero spazio per donne ʻscomodeʼ? 
L’esperienza di Oriana ci insegna che quando l’intelligenza, la professionalità, l’intraprendenza, il brutto carattere, la testa dura convivono in un’unica donna non c’è uomo che possa ostacolarla. Lo scontro dei sessi deve esserci. Auguro a tutti gli uomini di incontrare una donna così.

Un ristorante in società con tuo fratello che si chiama Casa. È il tuo rifugio?
Ogni tanto, quando desidero stare solo e so di non trovarci nessuno, ma è prima di tutto una passione. Un sogno realizzato. Un posto piccolo, una cucina semplice con una selezione naturale della clientela.

Parliamo della tua esperienza oltreoceano. Gli americani sono più bravi di noi?
No, non professionalmente ma nel rispetto di tutte le professionalità altrui sì. Allo stesso tempo invece se qualcuno delude le aspettative viene mandato via con facilità. Se avessimo la stessa capacità in Italia, il cinquanta per cento degli attori non lavorerebbe e un restante cinquanta sì.

Da padre cosa auguri ai tuoi figli?
Curiosità nei confronti del mondo, la forza di essere rispettati e un ampio grado di libertà.

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